Slovenia, oggi. Un liceo come tanti. Una classe come tante. Una quotidianità come tante. Ma è davvero tutto così
ordinario, così regolare? È davvero tutto così tranquillo, sotto la patina di normalità?
Basta l’arrivo del nuovo
professore, il durissimo Robert, per innescare un violento corto circuito didattico e umano, poco dopo la tragica morte
di una studentessa che devasta gravemente gli equilibri. Il dolore dei ragazzi si traduce immediatamente in rabbia e la
rabbia, alimentata da interrogativi esistenziali troppo difficili da affrontare, si traduce in caccia: caccia al colpevole,
caccia al nemico.
Una scorciatoia emotiva che impatta, fatalmente, contro il nuovo professore: il colpevole perfetto, il
nemico perfetto. Esplorando i torti e le ragioni, i buoni e i cattivi Class Enemy smonta le certezze più categoriche e
invita a riflettere, tanto gli adolescenti quanto gli adulti, sulle sfumature.
Mi sembra importante poter parlare, attraverso l’arte cinematografica, di temi che riflettano sia la società nazionale
che quella mondiale. In Class Enemy ciò traspare nel microcosmo dei ragazzi delle medie superiori: una generazione
estremamente vulnerabile e, in quanto tale, propensa ad assorbire quel che le succede intorno, sia a livello conscio
che inconscio. La rivolta degli studenti contro il sistema scolastico, simboleggiato dal severo professore, è l’immagine
riflessa dello scontento sociale globale, che sfrutta ogni (in)giusto motivo per ribellarsi contro le norme vigenti. Nel
racconto, queste situazioni estreme descrivono il baratro tra due generazioni molto diverse tra di loro: baratro che la
tragedia avvenuta ha maggiormente ampliato. Si tratta di un difetto, di un’interferenza nella comunicazione.
- Rok Biček