venerdì 3 febbraio 2017

Commento al film "Il figlio di Saul"

«Aver concepito ed organizzato i Sonderkommandos è stato il delitto più demoniaco del nazionalsocialismo. [...] Attraverso questa istituzione, si tentava di spostare su altri, e precisamente sulle vittime, il peso della colpa, talché, a loro sollievo, non rimanesse neppure la consapevolezza di essere innocenti ».

Così scrive Primo Levi ne "I sommersi e i salvati", inquadrandoperfettamente il contesto in cui il nostro film si svolge. Saul fa parte del Sonderkommando ad Aushiwitz, verso la fine del conflitto, e per sopravvivere alla morte e all'orrore che vede ogni giorno è diventato freddo e meccanico. Un giorno però qualcosa cambia, quando tra i corpi dei prigionieri nelle camere a gas lui riconosce un ragazzo. Per riuscire a dare sepoltura a questo bambino Saul metterà a rischio la sua vita e il tentativo di evasione dei suoi compagni, votandosi solo e soltanto all'inumazione secondo tradizione ebraica di suo figlio.

Il regista Laszlo Nemes riesce a proporci la storia di questo inusuale protagonista escludendo tutto ciò che avviene intorno a lui, dando per scontato che noi spettatori conosciamo ormai i meccanismi interni al campo di sterminio. La telecamera segue come un'ombra Saul e i suoi movimenti, aiutandoci a entrare in sintonia con la sua fatica e con la sua speranza.
Il suo cieco amore per questo bambino non viene mai spiegato con chiarezza. Sebbene Saul sostenga che si tratti di suo figlio in molti momenti questo legame viene messo in discussione. Si tratta davvero di suo figlio? Non è necessario conoscere la risposta, perchè in ogni caso l'amore di Saul è un amore disinteressato per il futuro, per una possibilità di pace e per la memoria dell'orrore a beneficio delle future generazioni. 
Noi entriamo nel film grazie a Saul ma ne usciamo come suoi figli.


Il film ha vinto 47 premi in tutto il mondo, a dimostrazione dell'universalità del messaggio che porta.

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